Il pane dell’Appia


Il passepartout del viandante sull’Appia antica – via di pietra, di vento e di grano – nasce da un matrimonio tra simboli antichissimi: l’alfabeto e il pane.

Succede perché le quattro lettere che compongono il nome della strada regina, incrociate come spade da un raffinato calligrafo della mia città, non si accontentano di stare su cartelli stradali, come la conchiglia del Cammino di Santiago, ma chiedono di essere impresse e sfornate sul cibo per eccellenza di chi cammina. Non c’è nulla che cambi più del pane lungo la penisola. Soffice o croccante, esso è una bandierina delle nostre mille diversità.

Impasti con il timbro dell’Appia (foto di Alessandro Scillitani)

Limitandoci alla nostra diagonale Roma-Brindisi, incontriamo nell’ordine la ciriola del Tevere, la focaccia romana, il pane casereccio di Genzano e quello alle olive di Itri, il pane cafone della Campania e quello campagnolo di Mondragone. E ancora la pagnotta di segale del Sannio, il pane montanaro degli Irpini, per continuare, sul granaio del Tavoliere pugliese, con i pani più famosi del mondo, quelli di Gravina, Altamura, Matera e Laterza, per non parlare della puccia salentina o dell’uliato di Brindisi. E state certi che ne avremo dimenticato qualcuno, perché la loro varietà è inimmaginabile e questa o quella cittadina avranno sicuramente di che risentirsi per la nostra disattenzione. L’Italia, si sa, è permalosa in tema di cibi locali, e sul pane in particolare.

Cippo e pane con logo Appia – Mostra presso S. Maria Nova (foto di Irene Zambon)Chi farà l’Appia a piedi, la sera avrà fame sul serio e nulla potrà rallegrarlo più del pane accanto a una pasta al sugo o una zuppa calda. Dopo due-tre tappe, egli avrà già capito che ogni volta, a cena, si troverà davanti qualcosa di completamente nuovo rispetto alla tappa precedente. Sarà la costante del suo viaggio nell’ondulato granaio pettinato dal vento che si stende fra tre mari dal Lazio alle Puglie. Ebbene, su questa impressionante varietà regna sovrano il segno della gran via. Una, antica, indiscutibile. Il simbolo di una storia che è già leggenda e che indica territori diversi offrendo loro un grande e nobile segno di appartenenza, tale da rompere rivalità secolari di campanile.

I forestieri che transiteranno a piedi per quelle terre oggi marginali, non potranno che rafforzare l’autostima dei popoli italici, ricordando loro l’antica centralità e manifestando interesse e amore per la storia, le genti, i paesaggi e i sapori del luogo. I fornai ameranno la loro via ritrovata e imprimeranno il suo simbolo alfabetico sui loro impasti di acqua, lievito e farina. E magari penseranno che quel riconoscimento identitario è sceso a loro dal profondo Nord, da una città dove respiri l’Europa, Trieste. E che il suo autore si chiama Pietro Porro, che l’ha regalato al Paese.

Pane con il timbro dell’Appia (foto di Alessandro Scillitani)

L’idea di un simbolo che unisse la via impresso nel pane, così come si fa da generazioni nei forni di Matera, è nata a Maria Grazia Filetici, architetto che si prende cura dei nostri monumenti.

 

Paolo Rumiz