«Se cammini sull’Appia, capisci cosa è l’Italia», ci ha detto Riccardo Carnovalini, la nostra guida in cammino. In effetti, a piedi tra Venosa e Taranto, oltre le coccole enogastronomiche, alzi il lembo del tappetino e trovi la polvere nascosta: più in là dei vicoli e le piazze dei romantici borghi d’arte e storia, più in là delle azzurre spiagge tra Puglia e Basilicata, percorri l’anima controversa del meridione italiano.
Certo, sulla strada ci sono i tentatori di delizie: il panettiere, il ripulitore di cozze, il mozzarellaro, il cameriere della trattoria di pesce. Certo, ci sono le tentazioni: le mozzarelle di bufala, il “caffè leccese” col latte di mandorla quello vero, il fragrante e profumato pane di Venosa, i cachi in mezzo al campo da cogliere col senso di colpa e in cui inzuppare mani e bocca. Forse basta concentrarsi su tutto questo, per essere felici, al sud?
Forse sarà perché molti camminatori del nostro gruppo vengono dal nord. Forse sarà perché molti hanno fatto esperienza di centinaia di chilometri sui cammini più noti dell’Appia, come Santiago o la Francigena, o sui sentieri internazionali dell’arco alpino. Sarà per tutto questo: ma per un foresto viandante, come noi, l’esperienza del cammino in questo sud non si assolve nelle gioie del palato. Anzi, per lunghi tratti, è sconcertante.
Alcune vecchie masserie, eredi gloriose delle stazioni di posta nella romanità, cadono a pezzi, ormai buone solo per i piccioni e il loro guano.
La via più importante della storia antica è non solo asfissiata o cancellata da asfalto e cemento armato. Percorrendo a piedi il tracciato filologico dell’Appia, a lungo cammini accanto a automobili che sfrecciano in entrambi i sensi a oltre 100 chilometri all’ora. Non hai scampo al carico psicologico che comporta avere bolidi di metallo guizzanti a qualche centimetro da te, né puoi sottrarti al pericolo concreto, provatamente per i guidatori e verosimilmente per i pedoni. «Sulla strada abbiamo bisogno di dissuasori alla velocità», ci ha detto uno degli animatori di un centro culturale, preoccupato per la sequenza di incidenti, di cui alcuni mortali, occorsi recentemente tra autoveicoli.[1]
Un po’ oltre le location dell’ultimo film di James Bond, il camminatore si ritrova in cumuli di immondizie che solo elencandole una sopra l’altra rendono il catastrofico senso della situazione: aspira polveri, assi da stiro, asciugacapelli, automobiline, bambole, biglie di vetro, bidet, bottiglie di birra (soprattutto Peroni), cannucce, cassette per la frutta, cavi di rame, compact disc, cialde del caffè, distributori dell’acqua, divani, cessi, frigoriferi, lavandini, lavatrici, materassi, mascherine, monopattini non elettrici, paraurti, pezzi di vecchi guard rail buttati tra gli sterpi oltre il nuovo guard rail, piastrelle, pneumatici, polistirolo, sacchetti con dentro spazzatura selezionata per il riciclo (solo carta oppure solo lattine oppure solo vetro…), scarpe, scatolette di cibo per gatti, schede del grattaevinci, stendini, sedie da cucina, sedie da ufficio, tavoli, tappi, tetti di eternit, televisori, valige, ventilatori … e molto altro.
L’arrivo a Taranto, purtroppo, non è da meno: l’interno del perimetro dell’area industriale dell’Ilva, in cui passa l’antica Appia, si tinge di un inquietante velo rosa causato dalle polveri dei minerali lì lavorati.
Sull’Appia, capisci non solo che nell’Italia del sud lo sviluppo di un turismo sociale e sostenibile, come quello dei cammini, ha bisogno di sostanziosi interventi materiali. Proprio perché lo spessore civile della comunità che accoglie è uno dei centri nell’esperienza del viandante, capisci quanto sia distante la strada tra questo sud e chi nel mondo ha, allo stesso tempo, una vorace fame di stare all’aria aperta tutto il giorno e una cura collettiva del territorio, a misura d’uomo.
[1] Vedi l’incidente del 2 settembre 2021, riportato da varie fonti tra cui https://www.altamuralive.it/news/cronaca/1059832/incidente-tra-un-auto-e-un-camion-sulla-strada-per-jesce
di Enrico Maria Milič