La colata lavica di Capo di Bove
Da una delle eruzioni del Vulcano Laziale fuoriuscì circa 260.000 anni fa una colata lavica lunga circa 17 km, ben visibile da Frattocchie al complesso di Cecilia Metella, (detto anche di Capo di Bove, da cui prese poi il nome la colata), che formò una lingua di lava leucitica rialzata: i romani la utilizzarono come base solida per la via Appia in uscita da Roma verso sud-est.
Con uno spessore variabile da 6/7 m a 12 m, e con una larghezza fino a 1,5 km, la roccia lavica fu utilizzata anche per trarne i basoli di pavimentazione della via, come possiamo vedere dalle numerose cave utilizzate nei secoli: all’altezza di Ciampino possiamo apprezzare un lungo fronte di cava sopra il quale corre la via e nei sotterranei di Cecilia Metella possiamo vedere proprio il termine della colata, formata da grossi massi in conglomerato.
Il complesso vulcanico Albano è formato da un’immensa caldera a ferro di cavallo, collassata nel settore che affaccia verso Roma, formatasi nella prima fase eruttiva, e da un secondo vulcano centrale alto circa 1.000 m, formatosi nella seconda fase eruttiva con vaste colate laviche e culminante con le vette di monte Iano e monte Albano.
Infine nell’ultima fase eruttiva ed esplosiva si sono formati numerosi crateri secondari, due dei quali sono oggi occupati dai laghi di Albano e di Nemi.
Il viadotto di Ariccia
è la prima grande sostruzione della via Appia dopo Roma e serviva a superare il dislivello dell’antico cratere. Si estende per circa 230 m innalzandosi fino ad un’altezza di 13 m.
Costruito come un terrapieno, con un nucleo cementizio e un paramento di grandi blocchi squadrati in peperino, è forato da vari archi che consentivano il deflusso delle acque o il transito.
Testo di Irene Zambon