I tratturi e la viabilità preromana e messapica in Puglia
Quando possibile, i romani sfruttarono tratti di percorsi e mulattiere preesistenti per costruire le loro strade. Tratturi pastorali di epoca neolitica collegavano l’Appennino interno e le Murge con la piana adriatica e con quella jonica.
I Messapi (popolo di origine illirica insediato nella penisola salentina, che si opponeva agli attacchi espansionistici della ricca Taranto greca), costruirono un reticolo di mulattiere attraverso tutta la parte peninsulare della Puglia, organizzate secondo due dorsali principali parallele alla costa jonica e a quella adriatica e una serie di percorsi istmici trasversali che connettevano l’entroterra con le coste.
I principali centri messapici si svilupparono più sulla dorsale jonica, ed ognuno di essi era collegato ad un proprio porto-emporio sulla costa, distante circa cinque chilometri.
I romani ricalcarono sostanzialmente la viabilità messapica, allargando le mulattiere e apportandovi rettifiche e pavimentazioni: la dorsale jonica divenne la via Augusta Sallentina, la dorsale adriatica la via Traiana Calabra, la via istmica tra Taranto e Brindisi divenne la via Appia e la sua variante più settentrionale e costiera l’Appia Traiana.
Tra Gravina e Iesce la via Appia si sovrappone a tracciati di età peuceta, precedenti la colonizzazione greca e a un’asse commerciale e pastorizio che nei secoli successivi verrà usato e codificato come il tratturo Melfi-Castellaneta nella prima tratta e come tratturo Tarantino nella seconda parte, da Castellaneta-Palagiano a Taranto.
Spesso la strada veniva scavata direttamente nella bancata tufacea, già solida, senza bisogno di costruire la stratificazione e lastricatura finale: abbiamo percorsi di questo tipo, con tracce di carri incise nel tufo, in zona Gravina, in località Murgia Catena (Altamura) e in zona Masseria Vicentino (Grottaglie).
Uliveti e terre coltivate
Fra Taranto e Brindisi la via Appia attraversa una campagna in buona parte coltivata ad uliveto, con zone di ulivi plurisecolari che accompagnano il percorso. L’orientamento del sesto d’impianto degli uliveti più antichi ha aiutato in alcuni casi gli archeologi nell’individuazione del percorso della Regina Viarum (ad esempio tra Mesochoron-Masseria Vicentino ed Oria).
Nelle colture più antiche ogni pianta è il risultato dell’ingentilimento dell’olivastro, che veniva liberato dalla vegetazione spontanea circostante, capitozzato ed innestato con l’ulivo produttivo (gentile o sativo), e la disposizione delle piante è rada e piuttosto casuale. Non si tenevano più di 40/50 alberi per ettaro, in quanto dovevano adattarsi ad un suolo povero, pietroso, non irrigato e ad un clima caldo-arido.
L’espansione della superficie olivetata iniziò dal III sec. a.C. e aumentò nel corso della dominazione romana. Brindisi esportava olio d’oliva a Delo, Efeso, Creta, Alessandria. Varrone descrisse lunghe file di asini da soma che trasportavano olio, vino e derrate agricole dall’interno dell’Apulia verso il mare.
Con la romanizzazione dell’Apulia si passò da un paesaggio di campi chiusi dovuto alla colonizzazione greca ad un sistema di colture estensive (grano, orzo, miglio) alternato a colture specializzate (olivo, vite, mandorlo), terre sottratte al pascolo e sottoposte a bonifica e centuriazioni dopo una massiccia opera di disboscamento, specie delle aree pianeggianti costiere. Nella chora tarantina, verso la costa, si hanno rinvenimenti di fosse agricole scavate nel banco di calcare per ospitare coltivazioni di viti e alberi da frutto.
Il nuovo assetto territoriale romano dopo lo scioglimento delle leghe apule vide le popolazioni concentrate nelle città federate e nelle colonie, mentre una rete di ville con impianti produttivi governava le aree coltivate.
Lungo la via Appia, utilizzata anche per i commerci con l’Oriente, oltre alle stazioni di posta e mutationes, troviamo alcune metatae destinate all’ammasso del grano per le istituzioni annonarie (Masseria Mutata a nord del Mar Piccolo). Inoltre troviamo frantoi ipogei a Taranto e masserie fortificate che sorgevano spesso a protezione dei frantoi e dei luoghi produttivi.
di Irene Zambon