La realizzazione della via Appia fu intrapresa nel 312 a.C. in un momento cruciale della storia di Roma, nel pieno della seconda guerra sannitica, che aveva visto i Romani subire l’onta delle forche caudine (321 a.C.).
Ebbe il nome dal suo ideatore il censore Appio Claudio detto il Cieco, illuminato e ambizioso amministratore della cosa pubblica e tra i sostenitori dell’espansione del dominio romano nelle regioni meridionali. Egli concepì il progetto di collegare con un percorso veloce Roma con Capua (Santa Maria Capua Vetere), al fine di consentire rapidi spostamenti di truppe armate proprio nel cuore dei territori popolati dalle genti di lingua osca.
In realtà già con la prima guerra sannitica (343-341 a.C.) era iniziata l’avanzata progressiva di Roma verso il sud, contrastando il pari intento dei Sanniti. In quella circostanza, infatti, con la concessione della cittadinanza senza diritto di voto (civitas sine suffragio) era avvenuta la sottomissione di Capua, già potente e ricca città etrusca, e allora a capo della lega delle città dei Campani, popolazione osca come i Sanniti, stanziata nella parte settentrionale della moderna Campania, fertile e opulenta regione sulla quale erano concentrate le mire di Roma.
La costruzione dell’Appia nella fase avanzata della seconda guerra sannitica (327- 304 a. C.) fu il segno che il progetto di espansione si era ormai consolidato.
Nel corso della terza guerra sannitica (299 – 290) furono dedotte colonie latine a Minturnae (Minturno) (295 a.C.) e a Sinuessa (Mondragone) (296 a.C.) a difesa non solo del confine importante rappresentato dal Garigliano ma proprio del tragitto segnato dall’Appia, che in entrambi i casi costituì il decumanus maximus, l’asse principale della rete stradale urbana. La colonia di Venusia (Venosa) fu dedotta qualche anno dopo (291 a.C.) a controllo di un’ampia area a sud dell’Ofanto e in posizione strategica al confine tra Irpinia, Lucania e Apulia.
Quando ormai la resistenza e la compattezza delle genti sannitiche era definitivamente debellata e frastagliata, nel 268 a.C., fu dedotta una colonia latina a Malventum capitale della tribù sannitica degli Hirpini, che mutò il suo nome in Beneventum (Benevento). Questo evento aiuta a comprendere la funzione strategica dell’Appia, che anche in questo caso attraversò la città, costituendone il decumanus maximus, per proseguire verso sud.
Era, infatti, ormai maturo probabilmente il disegno di prolungare la strada fino a Taranto, la gloriosa colonia greca sottomessa qualche anno prima, nel 272 a.C., con l’obiettivo di giungere poi fino a Brundisium, testa di ponte verso l’Oriente, dove, infatti, venne dedotta una colonia tra il 246 e il 243 a.C.. Probabilmente la deduzione della colonia di Beneventum e il prolungamento della strada fino a Taranto furono parte di un unico progetto non realizzabile precedentemente, quando sarebbe stato impossibile l’attraversamento di un territorio difficile, ricco di ostacoli e soprattutto abitato da popolazioni bellicose ed ostili.
Ideata, dunque, per scopi militari, la via segna e accompagna l’affermazione del potere di Roma gradualmente fino alle estreme regioni meridionali. Il prolungamento fino a Brindisi fu probabilmente posto in atto dopo la deduzione della colonia e dopo la conclusione della prima guerra punica (241 a. C.), che certamente aveva fatto maturare la necessità di contatti rapidi con i porti del bacino del Mediterraneo. Fu presumibilmente completata tra la prima e la seconda guerra punica, vale a dire tra il 241 e il 219 a.C..
La via Appia rappresenta in concreto con il suo lungo tragitto il consolidamento e la realizzazione di un grande sogno che man mano aveva preso corpo. Dopo le guerre annibaliche, infatti, i Romani poterono intraprendere la conquista della penisola balcanica e dell’Asia Minore.
Nel suo sviluppo totale l’Appia, regina viarum, come la definì il poeta romano Papinio Stazio, raggiunse la misura di 364 miglia pari a circa 530 km.
La rilevanza rivestita dall’Appia è attestata dalla cura ad essa riservata a più riprese dai governanti. Molti imperatori vollero legare il proprio nome a grandi opere di restauro o di potenziamento. Sono numerose le iscrizioni incise sui cippi miliari che ricordano tali interventi. Si distinsero tra tutti Traiano e Nerva. Giulio Cesare e più tardi l’imperatore Marco Aurelio disposero opere di restauro a proprie spese e persino Teodorico, re dei Goti, promosse opere di restauro lungo il Decennovium, il canale che fiancheggiava l’Appia nella piana pontina.
A metà del VI secolo d.C. lo storico Procopio, nella sua opera sulle guerre gotiche, De bello Gothico, decanta lo stato di conservazione della via ancora, a suo dire, perfetto. L’Appia dunque fu teatro delle scorribande barbariche come anche più tardi dei pellegrinaggi verso la Terra Santa. In questi lunghi secoli così tormentati, molti tratti della strada andarono in abbandono, ramificandosi in sentieri realizzati per superare gli ostacoli. Tuttavia la sua funzione di grande asse di collegamento tra Roma e Brindisi non venne mai veramente meno, anche se, nel tempo la strada subì opere di riassestamento che portarono lentamente all’abbandono di numerosi tratti e alla riorganizzazione di un nuovo tracciato ancora oggi pienamente funzionante, la SS 7, che solo in parte coincide con il tracciato antico.
(In testa immagine di Appio Claudio cieco al senato – affresco di Cesare Maccari – Palazzo Madama, Roma)
di Giuliana Tocco Sciarelli